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Ridurre il Turnover in 4 step in un'epoca di Grandi Dimissioni

Cosa significa Turnover?

Se siamo più propensi a strizzare l’occhio agli inglesismi, possiamo chiamarlo Turnover, ma se invece aderiamo alla filosofia di vita del mangia come parli allora possiamo semplicemente definirlo ricambio aziendale. Altri ancora, invece, preferiscono usare il termine di rimescolamento: tra chi va, chi viene e chi ritorna.

Ogni anno la nostra auto deve eseguire un tagliando, o perlomeno è consigliabile. Bisogna cambiare i filtri e l’olio motore affinché ci permetta di raggiungere la nostra meta in sicurezza anche nei 12 mesi successivi alla manutenzione. Anche le aziende, ogni tanto hanno bisogno di questo ricambio del personale, per essere sicure di continuare a garantire la propria presenza in un mercato instabile e in costante evoluzione, dove l’unico parametro affidabile è diventato paradossalmente l’incertezza.

Quando il turnover diventa patologico

Il turnover fisiologico lo potremmo quindi immaginare come una sorta di tagliando aziendale o per l’appunto di naturale ricambio.

Vien da sé pensare che, con il passare degli anni, ci sia un cambio generazionale di chi l’azienda la anima: nuove reclute entrano a far parte dei processi interni, mentre i dipendenti che l’azienda l’hanno già fatta e vissuta per 30 anni si godono una meritata pensione. Questo è l’esempio più congenito di turnover, che determina la naturale vitalità dell’azienda stessa. Nel dizionario viene più propriamente definito come: sostituzione del personale che ha cessato il rapporto di lavoro: il tasso di lavoratori che lasciano un’organizzazione e vengono sostituiti da nuovi dipendenti.

I motivi dietro al turnover infatti sono molteplici: innanzitutto questo “ricambio” può essere volontario e quindi sono i dipendenti a lasciare il lavoro e a dimettersi, oppure involontario, dunque determinato da un licenziamento.

A questo punto dobbiamo fare una distinzione tra:

  • turnover fisiologico e quindi il flusso naturale di persone che escono o entrano nell’impresa per effetto di normali eventi di pensionamento, assunzione, licenziamento, che non minacciano la continuità produttiva dell’impresa e la sua stabilità organizzativa;
  • turnover patologico, ovvero l’abbandono dell’azienda da parte del lavoratore in seguito a errate scelte di gestione delle risorse umane, come ad esempio mancata valorizzazione del dipendente, carichi di lavoro eccessivo, stress, lavoro monotono o cause relative al contesto organizzativo.

(fonte: Treccani).

Come calcolarlo?

Si tratta di un fenomeno tanto naturale quanto importante da monitorare nelle aziende. Esistono infatti dei veri e propri indicatori. Il calcolo non è di per sé difficile e si basa su una semplice operazione:

 
    entrati + usciti nel periodo
Tasso di turnover complessivo = __________________________ x 100
     organico medio del periodo

 

Il tasso ideale di ricambio del personale è del 10%, se invece supera il 15% il turnover è considerato alto e viene definito turnover patologico. Questo non è compreso nei piani dell’azienda, dal momento che può creare seri problemi sia dal punto di vista della produttività, delle commesse e delle scadenze prestabilite, sia per quanto riguarda la reputazione dell’organizzazione stessa.

Dopo le Grandi Dimissioni sarà l’era dei Grandi Ripensamenti?

Riprendiamo un attimo il concetto iniziale di Grande Rimescolamento che, senza dubbi, fa l’occhiolino al più chiacchierato fenomeno delle Grandi Dimissioni.

Alcune notizie di attualità sembrerebbero infatti spostare il focus sull’idea di un gran rimescolamento del personale, dove dipendenti insoddisfatti lasciano la propria azienda nella speranza di approdare su una terra promessa che però, purtroppo, spesso non viene trovata. Insomma, pare che chi se ne è andato, nella maggior parte dei casi, se ne sia anche pentito.

Perché questo sogno sembra essersi infranto? Il 40% dei lavoratori/(ex)dipendenti si sono trovati di fronte ad un mercato del lavoro molto più difficile di quanto credessero tanto che il 42% di loro non ha trovato un impiego degno delle aspettative. Non è solo il riversamento delle persone da un’azienda all’altra a incuriosire, quanto più il Grande Ripensamento (se vogliamo continuare questo gioco di parole) che c’è dietro alle ondate di dimissioni.

È la celebre piattaforma di recruiting online Joblist a diffondere questi dati, secondo cui 1 (ex)lavoratore su 4 si sarebbe pentito di aver dato le dimissioni e non ripeterebbe questa scelta. Le relazioni createsi all’interno delle mura aziendali hanno influito al rammarico generale: in molti sentivano infatti la mancanza dei colleghi.

I settori che più rimpiangono questa scelta riguardano i dipendenti degli alberghi (34%), gli insegnanti (33%) e i rivenditori al dettaglio (30%).

Dobbiamo tenere a mente che il sondaggio è stato fatto su un pubblico ridotto di una singola piattaforma di recruiting. I risultati perciò rappresentano un campione e non un trend. Questo può dunque offrire spunti di riflessione, ma non basta a raccontare in maniera dettagliata la portata di un fenomeno. In poche parole i dati presentati sono insufficienti per delineare un ripensamento generale da parte dei dimissionari che tutt’ora, in Italia, sta coinvolgendo quasi 1 lavoratore su 10.

Sarà sempre più difficile ridurre il Turnover

È altamente più probabile invece che assisteremo ad una crisi del Turnover, dove l’ondata di persone che lasciano il proprio lavoro per dedicarsi ad impieghi diversi porterà con sé dei “posti vacanti” che però non verranno ricoperti.

Se vogliamo rappresentare la realtà, non possiamo ragionare in maniera lineare, ma dobbiamo muoverci nei termini della complessità del fenomeno. Sarebbe troppo semplice pensare secondo la logica lineare del se me ne vado io arriverà qualcun altro a prendere il mio posto (e viceversa).

Lo si può fare quando il ricambio del personale è fisiologico, perché essendo contenuto, si riuscirà a bilanciare e pareggiare il numero di quelli che se ne vanno con quelli che entrano. In un contesto come quello delle Grandi Dimissioni, dove il fenomeno è ormai patologico, dobbiamo ragionare in termini di complessità e considerare anche che i tempi (e i costi) di un’assunzione sono più elevati rispetto a quelli di una dimissione. Persino le risorse messe in campo sono più dispendiose.

Dati alla mano, secondo uno studio riportato da Repubblica dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, che analizza il fenomeno in Italia, nel 2021 il tasso di turnover è aumentato per il 73% delle aziende; in aggiunta tra chi ha abbandonato il posto in cerca di nuovi orizzonti, 4 volte su 10 lo ha fatto senza un’altra offerta al momento delle dimissioni.

Questo studio dipinge un’Italia dove “il 45% degli occupati ha dichiarato di aver cambiato lavoro nell’ultimo anno o di avere intenzione di farlo da qui a 18 mesi. Una decisione che non è motivata solo dall’esigenza di migliori stipendi, ma che riflette anche un certo malessere avvertito sul lavoro, un malessere emotivo e psicologico che le organizzazioni non riescono ad affrontare adeguatamente, a volte neppure a comprendere.”

Un altro dato degno di nota riguarda il 44% di aziende che, ora, faticano di più ad attrarre nuovi candidati, rispetto al periodo pre-pandemico.

ridurre il turnover

Perché le persone se ne vanno?

“Le dimissioni in Italia sono lo specchio di due fenomeni correlati – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice – il crescente malessere dei lavoratori, spesso non adeguatamente identificato dalle organizzazioni, e la volontà di dare un nuovo significato al lavoro. Per questo molte persone oggi cambiano anche a condizioni economiche inferiori, per seguire passioni e interessi personali o conseguire maggiore flessibilità“.
Corso aggiunge: “Di minor rilievo, rispetto a quanto documentato in altri Paesi come gli Usa, è invece il desiderio di abbandonare del tutto il mondo del lavoro, indicato in Italia come ragione di possibili dimissioni solo dal 6% dei lavoratori. In questo quadro che sta mettendo in crisi il mercato del lavoro e i tradizionali modelli organizzativi è fondamentale il ruolo della Direzione HR, a cui si richiede una funzione guida per portare l’organizzazione a un modello di lavoro ‘sostenibile‘, che metta al centro il benessere dei lavoratori, il loro coinvolgimento e la loro impiegabilità”.

Italiani in movimento

In sintesi, i numeri italiani ci stanno dicendo che il fenomeno delle dimissioni è legato al passaggio da un lavoro all’altro. In America invece, il Global Talents Trend indica un aumento del 20% del tasso di turnover volontario. Si prevede quindi un ricambio del personale destinato a durare nel tempo: di questo passo le aziende dovranno abituarsi ad una “cultura delle dimissioni”, che non vuol dire abbandonare definitivamente il lavoro, ma semplicemente cambiarlo più spesso. Tanto che in futuro potrebbero servire molti più recruiter per gestire il carico di nuove assunzioni ed evitare che alcuni ruoli restino scoperti a lungo.

Come ridurre il Turnover?

Per contenere il fenomeno e ridurre il turnover è quindi importante che le aziende lavorino su entrambi i fronti, dal momento che employee retention e talent acquisition sono da considerarsi sullo stesso piano. Dobbiamo quindi porci una semplice domanda:

 

Perché le persone se ne vanno?

 

I motivi sono diversi, ma nella maggior parte dei casi le persone se ne vanno a causa della mancata corrispondenza tra aspettative e lavoro o perché non si sentono in linea con la cultura aziendale. Per evitare che se ne vadano, è opportuno quindi lavorare sulle aspettative del candidato, puntando sulla sua fidelizzazione e coltivando il rapporto con i candidati ancora prima che entrino a far parte dell’azienda.

Lavorando di più sull’employment engagement, o più semplicemente sul coinvolgimento del personale, sarà più facile attrarre persone di valore e trattenerle in azienda. Secondo un articolo del sito in-recruiting di Zucchetti Group possiamo sfruttare alcuni semplici trucchetti per cercare di contrastare, almeno nel nostro piccolo, questo nuovo trend che si sta affacciando al mercato del lavoro.

4 spunti per ridurre il turnover 

Favorisci la mobilità interna

Tratta i tuoi dipendenti come se fossero i tuoi primi clienti. Se sono insoddisfatti dagli la possibilità di cambiare ruolo o di avanzare nella propria carriera. È importante garantire un’alternativa ad una mansione che il tuo dipendente non considera altrettanto motivante.
Definire i ruoli inoltre potrebbe aiutare l’organizzazione a chiarire bene quali sono le responsabilità operative e di sistema di ciascun collaboratore. È un’ottima opportunità per valorizzare i talenti dei singoli e per permettere loro di evolvere le proprie responsabilità (spazio di autonomia decisionale) senza dover per forza diventare un manager. Permette alle squadre di coprire tutte le responsabilità necessarie a realizzare il proprio scopo e a suddividere quelle che in passato si accavallavano generando conflitti. Grazie a questo processo potrai chiarire e comprendere meglio i ruoli dell’uno e dell’altro, riducendo inoltre i conflitti che si possono generare da una scarsa chiarezza e migliorando la collaborazione.

 

Prevedi i backfill

I backfill sono quelle posizioni lavorative che si sono aperte in seguito ad una cessazione di lavoro. È importante giocare d’anticipo e prevedere quali possono essere le posizioni che verranno lasciate scoperte, monitorando i profili.

Un modo per farlo potrebbe essere quello di impostare un piano di formazione professionale per sviluppare i talenti dei collaboratori, in modo da formare sia i nuovi che i vecchi dipendenti alla mansione che ha più probabilità di rimanere inoccupata. Grazie allo sviluppo delle competenze potrai allineare la formazione dell’intero staff agli obiettivi aziendali tramite la creazione di un piano formativo personalizzato in grado di far emergere i talenti del singolo e di apportare nuovo valore all’organizzazione.

 

Coinvolgi i tuoi dipendenti fin da subito

Si sa, le prime impressioni sono importanti! Coinvolgerli fin da subito può ridurre sensibilmente il turnover e orientare i nuovi assunti a rimanere per più tempo. Per fare ciò a noi piace raccontare come lavoriamo, condividendo il nostro Handbook con i nostri futuri candidati, dove potranno trovare i valori in cui crediamo, ma soprattutto come li applichiamo e li concretizziamo all’interno della nostra azienda. Insieme abbiamo creato una cultura aziendale basata su principi, valori e pratiche condivisi che abbiamo poi messo nero su bianco nel nostro Employee Handbook, una guida per ogni collaboratore per vivere il lavoro al meglio.

 

Crea un’ottima candidate experience

Dare importanza alle sensazioni del candidato è il primo passo per cercare di creare una relazione con l’azienda.

Per migliorare la prima esperienza di contatto con l’azienda potrebbe risultare utile le pratiche di Chek-in e Check-out. È tanto semplice quanto utile cominciare un colloquio di lavoro con una domanda che dimostri un interesse verso la persona e non solo verso la figura professionale che rappresenta. Può bastare anche un semplice “Come stai?” oppure “Hai avuto difficoltà a raggiungere i nostri uffici?”. Queste domande determinano la fase del Check-in. Per concludere l’incontro, invece di congedarci, potremmo chiedere una prima impressione riguardo l’organizzazione e lo svolgimento del meeting. Potremmo semplicemente domandare se il candidato si è sentito a suo agio o se la nostra azienda potrebbe essere potenzialmente un luogo dove trovarsi bene. “Ti potrebbe piacere lavorare con noi?”. Questa fase si chiama Check-Out.

Noi usiamo il Chek-in ed il Check-out durante tutte le nostre riunioni. In sintesi, mettere al centro i bisogni del dipendente e dare loro la stessa importanza che daremo ai nostri clienti può ridurre sensibilmente il turnover volontario e allo stesso tempo attrarre risorse di valore.

Quindi la prima regola da seguire è:

Il cliente dipendente al primo posto!

Ascoltalo.

Ecco il nostro Handbook!

Grazie questo patto comportamentale che abbiamo stabilito tutti assieme siamo riusciti a creare un ambiente di lavoro dove tutti si sentono coinvolti in un progetto più grande e dove ognuno ha i propri ruoli e le proprie responsabilità.

Vuoi conoscerlo anche tu?