Lavorare sotto pressione: come allenare questa capacità?
Il 26 ottobre del 1981, i Queen insieme al leggendario David Bowie cantavano “Under Pressure”, (sotto pressione). Il brano fu un trionfo e diventò a tutti gli effetti uno dei più grandi successi nella storia della musica rock. Questa pietra miliare della musica sa raccontare ancora oggi la pressione nel vero senso della parola, quella con cui tutti abbiamo a che fare quotidianamente. Un tipo di pressione che si lega ad una definizione di tempo occidentale, dove la fretta diventa una caratteristica di sopravvivenza. La genialità dei due front man, il ritmo del basso e le liriche descrivono alla perfezione il peso di questa pressione, aprendo uno scenario metaforico che ci permette di immedesimarci nel brano.
P.S. Se siete appassionati di musica vi consigliamo di scoprire la storia dietro alla creazione di questo grande successo, che è a dir poco affascinante.
Il mondo della musica non è quindi estraneo al tema della pressione. Spostandoci però in una dimensione più piccola e privata, se guardiamo all’interno della concretezza dei nostri giorni, tutti, nel nostro lavoro (qualunque esso sia), viviamo delle pressioni che possono essere date dalle scadenze o da un capo molto esigente.
Fin dal primo colloquio di selezione infatti, può capitare che il recruiter sia interessato a sapere circa le nostre abilità a lavorare sotto pressione. Con questa domanda il responsabile delle assunzioni intende conoscere la nostra etica lavorativa e come sappiamo reagire alle scadenze. Vuole verificare sia se siamo veramente in grado di occuparci di situazioni in cui il ritmo è incalzante sia come sappiamo cavarcela quando il carico di lavoro diventa eccessivo.
Cosa vuol dire sentirsi sotto pressione?
Pensiamo allo sport: quante volte sentiamo parlare di pressione in un contesto sportivo? L’atleta viene spesso messo sotto pressione, soprattutto prima di un’importante gara. Persino noi spettatori, negli attimi prima dell’azione decisiva, anche solo nel nostro semplice assistere, veniamo contaminati da una sorta di apprensione. Per questo potremmo definire la “pressione” come una serie di emozioni, pensieri e reazioni che può provare l’atleta prima o durante una performance.
In altre parole la pressione è quello stato interno che si manifesta mediante la percezione di un particolare evento. Perciò è determinata e scaturita da come noi percepiamo la situazione: spesso è proprio la paura del fallimento che innesca i meccanismi della pressione. Siamo noi a creare questo stato che è sia emotivo che fisico.
Come si manifesta la pressione?
I sintomi si possono riscontrare sia a livello fisico, mentale che emotivo:
- A livello fisico percepiremo un aumento di adrenalina e di conseguenza noteremo un’alterazione della frequenza cardiaca e della respirazione;
- A livello mentale si manifesta mediante la formulazione di pensieri positivi o negativi riguardanti la situazione che stiamo vivendo o che stiamo per affrontare;
- A livello emotivo invece percepiremo sentimenti positivi di anticipazione, eccitazione, oppure sentimenti negativi come la paura e l’ansia.
Attenzione però, da uno stato di pressione può venire fuori il meglio o il peggio di noi stessi: possiamo perdere i nervi e venire sopraffatti dal peso dello stress o possiamo superarci dando il meglio di noi.
Come reagiamo quando siamo messi sotto pressione?
La nostra mente è divisa in due parti, una razionale (pensiero lento) e una più intuitiva e automatica (pensiero veloce). Siamo soliti pensare che le situazioni stressanti mettano in luce il nostro vero essere, mettendo in evidenza ciò che abbiamo dentro. Siamo convinti che la nostra parte “razionale” abbia più controllo rispetto a quella istintiva. Questo perché abbiamo sempre dato per scontato che, se mettiamo le persone sotto pressione dando loro poco tempo per rispondere, allora la mente razionale non avrà il tempo necessario per controllare quella impulsiva, mettendo così l’individuo nella posizione di rispondere d’istinto, e quindi di mostrare la propria vera natura.
Siamo animali sociali
In un esperimento dell’Università della California riportato da l’Angolo della Psicologia hanno dimostrato che quando veniamo messi a dura prova, tendiamo a dare risposte più socialmente accettabili. Hanno coinvolto un gruppo di 1500 persone che dovevano rispondere a delle domande con un “sì” o con un “no”: una parte aveva solo 11 secondi per rispondere, gli altri invece potevano prendersi tutto il tempo che gli serviva.
“Gli psicologi hanno scoperto così che le persone sotto pressione, che dovevano rispondere rapidamente, erano solite dare risposte socialmente accettabili, mentre quelle che avevano più tempo per riflettere, davano risposte più autentiche che riflettevano chi erano realmente.
In altre parole, la pressione del tempo non fa emergere il nostro “vero io” ma fa prevalere il desiderio di mostrarci in una luce più lusinghiera, anche se ciò implica nascondere chi siamo veramente, cosa sentiamo o pensiamo.”
È possibile lavorare sotto pressione ottenendo più risultati?
Gli atleti si allenano per imparare a gestire la pressione e ad ottenere il miglior risultato anche nelle situazioni più difficili. Imparano a gestire ansia e stress, sfruttandoli a proprio vantaggio. Esistono infatti 3 buone abitudini da seguire per trasformare quelle che solitamente appaiono come frustrazioni in una spinta ad ottenere più risultati.
Ecco 3 buoni consigli:
1. Dai sempre il meglio di te, l’autostima ti ringrazierà!
Innanzitutto dobbiamo cominciare a lavorare su noi stessi:
- Dare sempre il meglio di sé
- Pretendere il meglio da sé stessi
- Fare sempre quel piccolo sforzo in più per migliorare ogni giorno
Puntare sempre al miglioramento continuo dovrebbe essere una prerogativa, non solo a livello lavorativo. Se ci poniamo sempre questo obiettivo, inevitabilmente anche la nostra autostima ne beneficerà e potremmo scoprire inoltre nuove potenzialità di cui non eravamo a conoscenza.
2. Il tuo tempo ha un valore, datti delle scadenze!
C’è chi è bravo a organizzare e chi è bravo a procrastinare. Imporsi delle scadenze definendo degli obiettivi temporali è un buon modo per evitare di rimandare il lavoro.
In economia, secondo la legge di Parkinson, “in un’organizzazione il lavoro è più inefficiente se il tempo disponibile aumenta, mentre, in una situazione di scarsità di tempo la necessità di raggiungere l’obiettivo favorisce l’efficienza.” (Treccani)
Lavorando in questo modo la pressione non nasce dall’ambiente esterno, ma da dentro di noi. Questo ci aiuterà a svolgere i compiti più importanti in meno tempo, ottenendo inoltre un maggior numero di risultati.
3. Repetita iuvant, ovvero le cose ripetute aiutano
L’azienda è fatta di processi: un processo è una serie di fatti o fenomeni aventi tra loro un nesso più o meno profondo. Per crearlo abbiamo quindi di bisogno di trovare un metodo da poter ripetere che ci permetta di svolgere i nostri compiti e soprattutto di facilitare il raggiungimento dei nostri obiettivi.
La sicurezza di poter contare su un metodo di lavoro che siamo sicuri funzionare ci permetterà di agire in maniera automatica, efficiente e di accelerare le tempistiche da dedicare ad ogni singolo progetto.
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Foxwin, assieme a degli psicologi professinisti, ha creato un corso online per gestire il rendimento psicofisico e riconoscere le diverse tipologie di stress.
Quali competenze otterrai partecipando al corso?
- Riconoscere le diverse tipologie di stress
- Migliorare le prestazioni sotto stress
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All’interno del team di Foxwin ci sono coach e psicologi che potranno affiancarti in un percorso di miglioramento personale.
Il coaching è un processo relazionale avente l’obiettivo di aiutare una persona o un gruppo di persone ad acquisire una maggiore consapevolezza e responsabilità personali e/o a superare barriere che ostacolano il miglioramento della performance. Il nostro approccio prevede un’attività professionale specialistica che ha come finalità il raggiungimento degli obiettivi personali, in armonia con il mandato istituzionale.
Diventare il meglio di sé: una profezia che si auto-avvera
La psicologia sociale ci insegna che spesso le previsioni si avverano perché è il nostro stesso comportamento che le fa accadere, consciamente o subconsciamente. L’aver pensato a cosa può accadere genera un cambiamento nel nostro atteggiamento, che a sua volta rende più probabile la stessa previsione.
Questa tendenza viene chiamata anche effetto Pigmalione e prende il nome dallo scultore che nell’Antica Grecia decise di scolpire la statua di donna più bella di sempre, finendo con l’innamorarsene perdutamente.
Nel 1968, Robert Rosenthal introdusse per la prima volta la profezia che si autoavvera denominandola appunto effetto Pigmalione o effetto Rosenthal. Grazie ad una serie di esperimenti, dimostrò che questa reazione condiziona sia noi che gli altri.
Allo stesso modo, avere delle aspettative molto basse su qualcuno (o su sé stessi) porta ad una performance peggiore (effetto Golem).
L’esperimento di Rosenthal
Il libro di Robert B. Cialdini, Le armi della persuasione, riporta un celebre esperimento portato avanti in una scuola da Rosenthal e Jakobson alla fine degli anni ‘60. Grazie a questo furono in grado di spiegare il potere della suggestione verso gli altri.
L’esperimento si svolse tramite l’utilizzo di un test di intelligenza sui bambini:
- Gli scienziati mostrano i risultati di questo test agli insegnanti, segnalando quelli più dotati
- Gli insegnanti, a questo punto, conoscono quali sono i bambini che hanno maggiori capacità
- Gli scienziati, infine, tornano l’anno successivo per vedere i risultati dei bambini
Risultato? Quelli segnalati andarono decisamente meglio rispetto ai loro compagni.
Il test aveva dunque ragione e aveva individuato tutti i bambini più intelligenti? Purtroppo (o per fortuna) la risposta è no. Gli scienziati avevano selezionato i bambini in maniera del tutto casuale: facendo credere agli insegnanti che questi ultimi fossero più capaci degli altri hanno imparato meglio. Ecco le 4 condizioni che li hanno portati a diventare i primi della classe:
C’era una maggior attenzione degli insegnanti nei confronti dei potenziali geni
Gli insegnanti erano più propensi a lasciare la parola a quelli che erano ritenuti più capaci
Se so che sei più intelligente ti fornisco più materiali e più approfondimenti da studiare
Gli insegnati erano più propensi ad accettare le risposte di bassa qualità dei bambini più intelligenti, spingendoli più volentieri verso la risposta giusta
Conclusione: Gli insegnati hanno involontariamente avvantaggiato i potenziali geni.
Accade quello che vogliamo accada
Possiamo dare meriti o colpe all’ambiente che ci circonda e ci influenza ma la verità è che si tratta sempre di una questione di mentalità: dobbiamo imparare a trasformare i nostri non ce la posso fare in sempre più frequenti ce la farò.
Prima di approcciarci ad un’attività o ad un obiettivo dovremmo quindi pensare a ciò che vorremmo ottenere e non a ciò che non vorremmo accadesse. Se ci crediamo veramente le nostre azioni ci seguiranno di conseguenza.
Scegliere come lavorare sotto pressione diventa dunque una decisone personale: se reagiamo negativamente saremo proprio noi i nostri più grandi ostacoli, se invece la reazione è propositiva diventeremo gli autori dei nostri successi, personali e professionali.
La chiave di volta l’abbiamo trovata (e reinterpretata) nelle parole di Bowie e Mercury: la prossima volta che ci ritroveremo a lavorare sotto pressione la domanda più potente che possiamo decidere di farci è:
Can’t we give ourselves one more chance?
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