Innovazione o resistenza al cambiamento? I dubbi (e le risposte) di chi deve decidere
I realisti sono antieroi pragmatici.
Spesso sono persone comuni che si trovano costrette a giocare una partita a cui non avrebbero voluto partecipare, ma hanno la consapevolezza di potersi ritirare. Che siano buoni o cattivi poco importa, perché è quasi sempre il destino a scegliere per loro. Come un Eroe, anche loro si adattano perfettamente al Viaggio dell’eroe a patto che la chiamata garantisca loro una risposta a un bisogno personale: non si muovono per salvare il mondo, ma per guadagnare una taglia di pantaloni o recuperare una figlia.
La figura che più rappresenta questa categoria forse sono i manager aziendali; non stiamo parlando di figure carismatiche alla Steve Jobs ma nemmeno di manager senza scrupoli che non badano nessuno. Un manager si affeziona, ma non lo dà a vedere. È realista, si accorge quando le cose non vanno ma non sa cosa fare. Non è un eroe onnipotente e non possiede nessuna pozione magica che gli permette di trovare la soluzione ad ogni problema. Ma ci prova. Vuole guadagnare la fiducia dei suoi collaboratori e fa di tutto per cercare di piacere. Anche quando tutto non sembra bastare.
Abbiamo immaginato un’intervista ad un manager realista, antieroe umano e sincero, con tutti i suoi dubbi, le sue perplessità e perché no, anche le sue fragilità. Senza filtri.
Il duro lavoro viene sempre ripagato e lei ne è la prova, Theodore Roosevelt diceva: Il miglior premio che la vita ha da offrire è di gran lunga la possibilità di lavorare sodo per un lavoro che vale la pena fare. Per Lei, cosa significa fare azienda oggi, con tutte le trasformazioni in ambito lavorativo che stiamo vivendo? La pandemia ha sicuramente cambiato tutte le nostre abitudini e esigenze, anche a livello lavorativo… Ha sentito la portata di questi cambiamenti anche nella sua realtà?
Ho sempre lavorato sodo per la mia azienda ed anche i miei collaboratori. C’era un buon clima propositivo e alle riunioni tutti collaboravano. I nuovi progetti venivano accettati e intrapresi con entusiasmo. Nessuno si è mai lamentato, d’altronde svolgo il mio lavoro in maniera puntale da più di 20 anni, ottenendo risultati che mi rendono orgoglioso.
Mi scusi se la interrompo. Mi sembra che le stia introducendo un “MA”. Quindi anche tra i suoi uffici si respira un’aria diversa?
Esatto, ci stavo proprio arrivando… Purtroppo da poco un mio collaboratore ha deciso di dare le dimissioni. Da lui non me lo sarei mai aspettato, era il mio responsabile più bravo, con me non si era mai lamentato di niente. Le sue idee erano sempre apprezzate e alle riunioni era sempre ascoltato attentamente da tutti.
Non mi ha mai dato l’idea di essere stressato, però a pensarci meglio nell’ultimo periodo aveva tanti progetti da gestire. Non è che magari gli ho dato un carico di lavoro eccessivo?
Non nascondo che senza di lui avrò un po’ di difficoltà in più a mandare avanti il lavoro…
Pensa che il motivo sia dato dal carico di lavoro dell’ultimo periodo? Non sospettava niente prima delle sue dimissioni?
Se devo essere sincero no! Non sospettavo niente.
Solo dopo la sua dipartita sono arrivati i dubbi…dopo le sue dimissioni ho cominciato a osservare con più attenzione tutto ciò che accadeva in ufficio.
Prima della pandemia non era difficile trovare qualcuno ancora in ufficio anche dopo le 17, di loro spontanea volontà, senza che io chiedessi nulla. Ricordo che una volta mi è capitato di incontrare un mio collaboratore proprio mentre uscivo dall’ufficio (ero fuori orario anche io) e di avergli ricordato che l’orario di lavoro era ormai terminato da un po’… Lì mi resi conto che valeva lo stesso per me.
Non mi è mai pesato lavorare anche fuori orario, l’ho sempre fatto e lo faccio ancora. Purtroppo però non vale più per tutti gli altri. Alle 17 in punto hanno già tutti spento il monitor e rimesso la giacca, pronti per scappare a casa. Di fretta.
Da cosa pensa che sia dovuto questo cambiamento nell’atteggiamento? Cosa potrebbe essere successo?
Non lo so, forse sono troppo distaccato e distante nei confronti dei miei dipendenti. Magari parlo solo di lavoro e mai di altro con loro…ma d’altronde di cos’altro potrei parlare in ufficio e con i dipendenti?
A proposito di ciò leggevo sul giornale un interessante articolo che parlava di questo nuovo fenomeno, il Quiet Quitting. Pare che si tratti di una specie di “abbandono silenzioso”: le persone non rinunciano allo stipendio e al posto di lavoro, facendo solo il minimo indispensabile per conservarlo. Interessante vero? Il lavoro duro che porta al successo non va più di moda. Stiamo parlando di un radicale cambio di mentalità.
Quindi sospetta che questo fenomeno del Quiet Quitting sia arrivato anche nella sua organizzazione?
Probabile, anche se non ne sono ancora sicuro. Preferisco continuare a pensare che si tratti di una serie di sfortunate coincidenze.
Cosa pensa di fare ora? Non ha paura che qualcun altro possa dare le dimissioni seguendo l’esempio del responsabile di cui ha parlato?
No, non credo che se ne possa andare via anche qualcun altro. Anche se ora come ora però non sono più sicuro di nulla…
Se facessi finta di niente potrebbe capitare. Se invece optassi per cercare di cambiare qualcosa, da solo non saprei da dove iniziare…
Ho sentito che alcune aziende avevano optato per organizzare una giornata di team building. Mi hanno detto che funziona. Magari potrebbe fare anche al caso mio. Sicuramente aiuterà ad aumentare lo spirito di squadra.
Spero che basti. Altrimenti non saprei che altro fare.

E se il team building non bastasse?
L’idea del nostro antieroe potrebbe suonare come una buona soluzione, se solo non fosse per un piccolo particolare: non possiamo dare una soluzione semplice ad un problema complesso. La complessità si affronta a sua volta con la complessità. Non possiamo pensare in maniera frettolosa e semplicistica un problema che così semplice non è.
Non stiamo dicendo che il team building non sia efficace, ma solo che potrebbe non bastare. Secondo noi, il problema alla radice di questo fenomeno è da ricercarsi piuttosto nell’organizzazione aziendale.
Il fenomeno risulta perciò molto più complesso ed è da ricercarsi nel coinvolgimento, nella comunicazione e nell’ascolto delle persone. Il tutto è riassumibile in pochi caratteri: Cultura Aziendale.
Quindi, come cambiare la cultura aziendale?
Comincia da te stesso e dal tuo stile di leadership. Qual è il tuo parere riguardo questi 3 punti?
- Ricomincia dalle persone. Parla coi tuoi collaboratori. Non puoi pretendere di creare relazioni e fiducia reciproca senza dialogo. Sia che si lavori da remoto o dall’ufficio, le pause caffè sono importanti momenti di scambio che si tradurranno in maggior produttività. A pensarci bene possono essere anche dei momenti alternativi di team building che avranno come effetto quello di aumentare la collaborazione e di far sentire le persone più vicine tra loro.
- Crea obiettivi condivisi. Creando obiettivi condivisi avrai il vantaggio di condividere assieme ad un team ciò in cui credi e soprattutto la strada da percorrere per raggiungerlo. Si sa, in ogni viaggio non è la destinazione che conta, ma le persone con cui condividi il percorso. In questo modo tutti saranno allineati e i tuoi obiettivi diventeranno anche i loro.
- Mettiti nei panni degli altri. Non sei solo tu ad essere stressato! Solo perché sei manager non significa che sei isolato dal resto dei tuoi collaboratori e che devi fare tutto da solo! Soprattutto non vuol dire che i tuoi impegni siano più importanti o più faticosi rispetto a quelli degli altri. Interessati a loro anche in qualità di persone e non solo di dipendente. Favorire un dialogo leader-dipendente è importante per mantenere alti i livelli di coinvolgimento e contenere lo stress.

Abbiamo creato una newsletter con lo scopo di ispirarti attraverso spunti di riflessione e strumenti concreti, per permetterti di coinvolgere attivamente i tuoi collaboratori nei processi organizzativi.
P.S.: Odiamo la SPAM tanto quanto te. La tua mail è al sicuro con noi.